C’è chi pensa si dovrebbe introdurre a scuola l’ora di informatica e chi invece preferisce fare un passo indietro, che è poi a tutti gli effetti un passo in avanti. Come in Danimarca, dove i bambini di età compresa tra i 6 e i 16 anni vanno a lezione di empatia. Per farla semplice, un’ora settimanale è dedicata alla comprensione delle proprie emozioni e alla percezione delle emozioni altrui. Intendiamoci, l’ora di classe danese (la Klassens Tid) esiste esattamente dal 1870, ma soltanto nel 2016 è stata codificata e destinata ufficialmente all’empatia, alla capacità di mettersi nella pelle altrui. Come si svolge quest’ora di lezione, è presto detto. Una torta al cioccolato preparata a turno fa da collante e distende gli animi durante quello che si può considerare uno scambio di emozioni tra i bambini. Ciascuno è incoraggiato a sottoporre i propri problemi all’attenzione dei coetanei e dell’insegnante, e in generale a condividere uno spaccato del proprio vissuto.
Lo scopo dichiarato è quello di avere adulti più felici e sereni attraverso un consapevole incremento della cooperazione e dello spirito di gruppo. Ormai si sprecano gli studi che riferiscono della centralità dell’empatia nei rapporti di lavoro, di coppia e di amicizia. Il che la dice lunga sull’apporto che potrebbe dare un’ora scolastica di questa singolare “materia”. Secondo un recente studio dell’Università del Michigan il 40% degli studenti universitari americani sarebbe meno empatico rispetto agli studenti degli anni Ottanta e Novanta e il dato andrebbe messo in stretta relazione con l’aumento dei casi di depressione. Detto in soldoni, oggi s’è meno felici di allora perché si è fondamentalmente più narcisisti, dunque meno empatici.
Non è una sorpresa che sia stato proprio un paese scandinavo a portare a scuola una novità tanto dirompente. Basti pensare che secondo gli ultimi report sulla felicità mondiale, in cima alla classifica dei paesi più felici del mondo svettano proprio Danimarca, Norvegia e Svezia. L’Italia ahinoi, nonostante il clima favorevole e la solarità di cui si favoleggia, si attesta intorno alla cinquantesima posizione, posto più posto meno. Certamente questi dati non sarebbero da attribuire esclusivamente a una differenza, ecco, di empatia. Occorre prendere in considerazione tutta una serie di fattori come la differenza di reddito e il divario profondo che esiste tra i nostri ammortizzatori sociali e il loro Welfare. Resta il fatto che in Danimarca s’è capito quantomeno che l’empatia si può esercitare e coltivare, al netto di casi critici come sono i bambini affetti da Asperger.
Introducendo a scuola l’ora di empatia, il Paese più felice del mondo, quali che siano i parametri che ne hanno decretato il primato dal 2013 al 2017, ha quantomeno indicato una strada percorribile. I risultati non sono quantificabili ai nostri tempi perché si dovrebbe attendere che questi bambini diventino adulti per poterne “misurare” il grado di felicità. Vero è che da più parti si ribadisce la connessione tra empatia e stimolazione del pensiero costruttivo. Come a dire che chi si mostra più empatico possiede una capacità maggiore di problem solving e ciò può influire direttamente sul benessere individuale e collettivo. Da qui alla volontà di insegnare l’empatia ai bambini il passo è breve e potrebbe avere una forte valenza sociale.
Senza voler fare eccessivi voli pindarici, c’è chi dice di basare la propria fortuna economica su un approccio empatico al lavoro: ci riferiamo a Ray Dalio, uno degli uomini più ricchi del mondo e proprietario del più importante fondo di investimento. Ebbene, Ray Dalio ha introdotto nel suo innovativo algoritmo proprio il parametro dell’empatia. È il caso più eclatante ma non è isolato, basti pensare alla società dell’empatia teorizzata dall’economista Jeremy Rifkin. Secondo questo attivista l’homo sapiens sapiens ha ormai ceduto il passo all’homo empathicus: il narcisismo emergerebbe quando una tra empatia, salute e creatività viene meno. In quest’ottica curare l’empatia dei bambini, cioè insegnarla a scuola, potrebbe portare benefici tangibili. Probabilmente nessuno può dire di possedere la ricetta della felicità, ammesso che esista, ma forse la Danimarca ha imboccato un sentiero che potrebbe proiettarla nei decenni avvenire in vetta alla classifica dei paesi più felici del mondo.